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mercoledì 3 febbraio 2010

Centro di Ascolto




Centro di Ascolto e Informazione per Studenti e Genitori


“…ogni persona ha in sé e nell’unicità della propria consapevolezza,
le risposte alle proprie domande e le soluzioni dei propri problemi…”

C.Rogers


Premessa

L’idea progettuale nasce dai risultati di un monitoraggio effettuato sul territorio che ha fornito dati molto significativi in relazione al problema della dispersione scolastica e al disagio che attraversano i giovani nella fase adolescenziale.
  • Il centro di Ascolto e Informazione per Studenti è uno spazio di riflessione, di comunicazione per gli studenti e i genitori. Un luogo d’incontro per raccogliere idee, raccontare stati d’animo e vissuti, fornire e ricevere informazioni, esprimere sogni e desideri, parlare di tutto o forse di niente…E’ un modo di “esserci” con o senza parole, per dare fiducia, affrontare i problemi, pensare insieme a possibilità e risposte, condividere, sostenere e…...capire se stessi e gli altri….....................
    Una esperienza di reciproca conoscenza in un percorso mirato all'evoluzione spontanea di questa delicata età.
    L’attenzione dei colloqui sarà rivolta in particolare all’analisi dei problemi evolutivi evidenziati dall’adolescente chiarendo, per quanto possibile, il quadro delle simbolizzazioni affettive e del loro utilizzo. Un punto di riferimento che la scuola offre per garantire a ragazzi e ragazze, che vivono in modo intenso le proprie situazioni di difficoltà, la possibilità di una risposta rapida, soprattutto non medicalizzata.
    Il punto di Ascolto studenti prevede tre ore settimanali a disposizione per colloqui individuali; il nostro intervento avverrà su richiesta, veicolato tramite insegnanti, genitori, studenti, oppure, per maggiore riservatezza, tramite messaggio di posta elettronica ad un indirizzo creato ad hoc e già operativo per esempio: (centrascoltostud@katamail.com). Gli appuntamenti verranno fissati sia al mattino nel corso del normale svolgimento delle attività quotidiane, che al di fuori dell’orario scolastico, durante il pomeriggio del Lunedì, dalle ore 14.30 fino alle 16,30. Si sottolinea che i colloqui sono protetti dal segreto professionale.
    In alcuni casi particolari potrà essere richiesto un nostro coinvolgimento all’interno dei Consigli di classe.
    Inoltre, si ritiene opportuno promuovere la diffusione tra i ragazzi della disponibilità di un servizio interno alla scuola, prevedendo fin da subito il contatto diretto nelle classi per spiegare ai ragazzi le finalità del servizio, chiarire dubbi, perplessità, curiosità relativi al nostro ruolo e fornire indicazioni pratiche sulla modalità di accesso al Centro di Ascolto e Informazione (indirizzo e-mail, giorni ed orari disponibili).


    Il centro di Ascolto e Informazione per i Genitori nasce dalla necessità di offrire un supporto psico-pedagogico nel quotidiano rapporto educativo con figli e studenti. Se è vero che genitori non si nasce ma si diventa, altrettanto vero che in questo percorso di maturazione la possibilità di un confronto con persone disponibili e qualificate costituisce a volte una preziosa ed irrinunciabile risorsa. Può infatti accadere che i genitori si ritrovino impreparati di fronte a importanti scelte educative in cui dovrebbero farsi accompagnatori sereni e sicuri e che loro per primi abbiano bisogno di un sostegno che li aiuti ad “ascoltare e tradurre” le esigenze ed i comportamenti dei figli, al fine di individuare preventivamente segnali di disagio e trovare risposte adeguate. Spesso la comunicazione tra insegnanti e genitori risulta complicata per la divergenza di opinioni e stili educativi proposti. Di qui la rilevanza di interventi di mediazione, che nel rispetto dei ruoli e dei pareri personali, catalizzino in un’azione sinergica gli interventi dei genitori ed insegnanti verso il condiviso obiettivo di accompagnamento dell’adolescente nel suo percorso evolutivo. Infine ci preme sottolineare che tale attività di supporto alle relazioni educative si configura come un’efficace ipotesi di prevenzione di forme di disagio e costituisca un valido supporto psicologico-educativo estremamente rilevante in relazione all’esercizio del compito educativo di una genitorialità consapevole e responsabile. Tale opportunità sarà offerta ai genitori per due ore ogni quindici giorni…(date da stabilire), anche questi interventi si terranno previo appuntamento, da concordare tramite insegnanti, genitori, studenti o indirizzo di posta elettronica per esempio: (centrascoltogen@katamail.com). Gli appuntamenti verranno fissati in orario scolastico o durante il pomeriggio (da concordare). Un rapporto importante da costruire avvalorato anche dai recenti documenti europei attraverso un riconoscimento giuridico e sociale.

    • In aggiunta allo spazio dedicato ai colloqui individuali proponiamo anche un’attività sperimentale da svolgersi in alcune classi prime, secondo tempi e modi che codesto Istituto riterrà più opportuni, valutandone in seguito l’efficacia e la possibilità di estendere l’esperienza ad altre classi.
    • Si prevede un incontro sulle problematiche adolescenziali rivolto ai genitori di una classe; lo svolgersi di tale attività all’interno del piccolo gruppo potrebbe favorire il dibattito, la possibilità da parte dei genitori di esprimersi più facilmente e di conoscere la persona alla quale potrebbero rivolgersi per affrontare problematiche personali e famigliari più complesse.

    A) Attività

    - Sportello di ascolto e supporto psicologico per studenti, genitori e per tutta la comunità scolastica.

    - Conduzione di incontri, nelle classi, volti a facilitare la comunicazione e l’integrazione nel gruppo e a sviluppare la competenza relazionale.

    - Presa in carico di situazioni problematiche, in collegamento con le figure preposte all’azione educativa, e interventi in rete con altre figure istituzionali.

    - Conduzione di gruppi di genitori, interessati a condividere l’esperienza della crescita e del cambiamento dei figli e a migliorare la competenza genitoriale.


    B) Obiettivi

    - Offrire uno spazio di ascolto e informazione nella scuola, rivolto ai problemi e ai vissuti personali e di gruppo, nonché la possibilità di sperimentare una relazione d’aiuto.

    - Promuovere la crescita personale e dei gruppi, contribuendo a sviluppare la consapevolezza di sé e il senso di appartenenza alla comunità.

    - Prevenire il disagio adolescenziale, i comportamenti devianti, l’insuccesso e la dispersione scolastica, contribuendo a elevare i livelli di autostima e di motivazione.
    - Sviluppare la capacità di elaborare un proprio progetto di vita dal punto di vista umano, sociale e professionale.
    - Affrontare in modo integrato le situazioni problematiche, le difficoltà, i conflitti, operando una “mediazione” psico-pedagogica.
    - Facilitare la capacità di vedere il “problema” da più punti di vista
    - Potenziare la capacità di attivare ed utilizzare le proprie risorse per una migliore gestione delle situazioni stressanti

    - Sviluppare un’attenta riflessione sul mondo adolescenziale e sul processo di insegnamento-apprendimento.




    C) Riferimenti metodologici e culturali

    - Valorizzare nel processo educativo la componente relazionale in connessione con quella cognitiva.

    - Favorire una cultura di non-designazione.

    - Osservare e operare sull’assetto relazionale in un’ottica sistemica.

    - Riferirsi al contesto educativo-formativo, in cui il docente esperto si colloca come “cooperatore di contesto” (Bateson “the pattern wich connects”).

    - Dalla gestione di situazioni problematiche e conflittuali pervenire al “riflettere sull’esperienza” insieme. (Bion)






    Piano delle attività
    Il piano di massima, suscettibile di revisioni concordate in itinere, è il seguente:
    1. Quattro ore alla settimana per il centro di ascolto studenti.
    2. Due ore ogni quindici giorni per il centro di ascolto genitori.
    Resta inteso che, pur nel rispetto del monte ore proposto, sarà possibile concordare la redistribuzione dell’impegno inizialmente attribuito alle singole aree di intervento oppure l’inclusione di nuove attività. Le ore in cui si svolgerà il Servizio saranno distribuite in giorni ed orari diversi, con turnazione dei docenti. (si allega quadro orario).


    Monitoraggio
    Sarà effettuato attraverso un test di uscita per rilevare il livello di efficienza e di efficacia del progetto. Inoltre, saranno rilevati dati inerenti le problematiche adolescenziali più frequenti.


    prof. Luigi Polito






martedì 2 febbraio 2010

L'allenatore leader



“La gente vuol far parte di una squadra.
Vuole far parte di qualcosa
di più grande di loro stessi.”
Coach K.


Il ruolo degli allenatori, istruttori o maestri, è strategicamente molto importante in quanto occupa una posizione di snodo delle principali relazioni che si vengono a formare all’interno delle società sportive. Il potere del tecnico è molto alto a livello simbolico: “il potere di fare o non fare giocare, di aprire o chiudere le porte d’accesso al divertimento”.1
L’allenatore è il leader istituzionale della squadra sportiva; il suo ruolo è caratterizzato da funzioni e attività varie e complesse che richiedono competenze in campo tecnico, psicologico, e presuppongono un grande equilibrio emozionale. Egli all’interno della squadra è la figura – perno su cui si incentrano e intorno a cui ruotano tutte le attività della squadra e la vita sportiva dei singoli. La sua funzione principale è sicuramente quella di utilizzare al meglio le risorse in suo possesso e col tempo a disposizione portare gli atleti ai massimi livelli di prestazione.
In quanto guida della squadra deve darsi degli obiettivi generali2, il cui raggiungimento richiede da parte sua non solo doti tecniche, ma anche requisiti di personalità, quali intelligenza e capacità di stabilire rapporti sociali.
Stabiliti gli obiettivi, l’allenatore deve individuare gli strumenti adatti per raggiungerli.
Allenare significa assumere nello stesso momento le funzioni di educatore - formatore, di tecnico - organizzatore e di leader.
In quanto educatore quindi egli ha il compito di formare atleti maturi fisicamente e psicologicamente, il più possibile completi sul piano tecnico. Ad ogni allenamento sarà suo compito cercare di sviluppare e migliorare le abilità cognitive come percezione e memoria di selezione della risposta.
La sua funzione di “docente” è quindi la caratteristica più importante del ruolo che ricopre.
Per un allenatore è importante che gli atleti conoscano bene la tecnica, e poiché non può gareggiare al loro posto, egli ha il compito di preparare il singolo e la squadra a prendere proprie decisioni. Allenare, infatti, vuol dire incrementare l’indipendenza, portare gli atleti a pensare oltre che ad agire da soli.
Il modello ideale di giocatore è una persona capace di pensare, di fare delle scelte, non un giocatore imbottito di nozioni, costruito per essere telecomandato.
Fra i compiti chiave di un allenatore vi è quello di occuparsi della motivazione, una volta veniva chiamata passione, intesa come stimolo che muove e dirige il comportamento dei suoi atleti. Senza motivazioni non vi è partecipazione né tanto meno apprendimento.
Anche in campo sportivo si parla di motivazioni primarie e secondarie: le prime attengono principalmente alla sfera emotiva e sono il gioco e l’agonismo, mentre le seconde fanno riferimento alla sfera sociale e culturale, e comprendono i bisogni affiliativi, estetici e di successo.3
Le responsabilità di cui un allenatore si fa carico durante la gestione di una squadra sono molteplici.
Sarà suo compito sviluppare un senso di appartenenza, utilizzando il “noi” per far si che gli atleti si sentano una forza unica con lui, inoltre dovrà definire i ruoli e i compiti del singolo; è fondamentale infatti che ogni giocatore sappia come, e per grosse linee quanto sarà impiegato. È importante fargli avere una precisa identità tecnica all’interno della squadra che lo motivino all’allenamento e lo facciano identificare nel suo ruolo. L’allenatore non dovrà dimenticare di fissare obiettivi comuni e chiari, regole da rispettare, orari per esempio, fattori questi che favoriscono la coesione del gruppo e prevengono eventuali conflitti.
Un buon maestro di sport deve evitare inoltre punizioni eccessive che rischiano di far aumentare la paura di incorrere nell’errore.

LA LEADERSHIP

Il concetto di leadership è strettamente connesso all’influenza sociale, infatti nonostante quest’ultima sia un processo reciproco, appare più esatto dire che i leader influenzano gli altri membri del gruppo più di quanto essi possano essere influenzati.
Nei gruppi non tutti i ruoli hanno lo stesso valore, quindi vi sono differenziazioni di status nella maggior parte dei casi.4 Turner afferma che il leader è colui che esercita maggiore influenza sul gruppo, mostrando più iniziativa, occupando una posizione più alta nella gerarchia e più centrale nella rete di comunicazione del gruppo.
Le definizioni di leadership che sono state date nel tempo sono numerose ma in sostanza è quel processo volto ad influenzare un individuo o un gruppo che mira al conseguimento di uno o più obiettivi in una determinata situazione. Sicuramente la differenza
che va sottolineata è quella tra
il leader democratico, pronto alla comunicazione anche sul piano personale con i membri del gruppo, e quello autocratico, che prende le decisioni autonomamente senza confrontarsi con alcuno. Mentre il primo è attento alle esigenze altrui il secondo s’interessa esclusivamente allo svolgimento del compito.
“Sono rari gli allenatori capaci di sollecitare i propri giocatori al punto di passare la vita agognando la loro approvazione”.5
Quando il leader è benvoluto dal gruppo, non viene messa in discussione la sua autorità e il compito è ben definito, egli non deve preoccuparsi del morale e può concentrarsi sul compito; quando invece non è ben accetto, dispone di poco potere e il compito è ambiguo, egli non è in grado di intervenire sul morale.
L’allenatore deve essere il centro di unità e coesione per il gruppo, colui che si assume il peso delle responsabilità, quindi spetta a lui il ruolo di leader, assieme a quello di educatore e tecnico. Egli deve rappresentare un modello, creare uno stato d’animo sereno, assumendosi il peso delle responsabilità. Per analizzare i rapporti interni fra allenatore e atleti è stato messo a punto un modello multi dimensionale per lo studio della leadership in ambito sportivo. Questo modello sottolinea come la prestazione e la soddisfazione della squadra siano strettamente connesse al comportamento del leader.6
Gli stili decisionali dell’allenatore possono variare da quello autocratico, dove le scelte vengono prese senza consultare nessuno, a quello delegante, in cui vengono delegati alcuni atleti per le decisioni, e ancora a quello consultivo o di gruppo dove le scelte vengono prese di comune accordo con gli atleti.
Gli stili decisionali sono parte portante del comportamento infatti in base alle scelte prese per la squadra si instaurano determinati tipi di rapporti.
Gli allenatori considerano, il favorire l’affiatamento tra gli atleti, lo stabilire norme di comportamento e il sostenere la motivazione, caratteristiche comportamentali importanti per lo svolgimento del proprio lavoro. La sfera socio-affettiva quindi è ritenuta più importante rispetto all’aspetto strettamente tecnico, legato alle tattiche di gioco.
Le maggiori difficoltà che un istruttore si trova a dover affrontare sono problemi scolastici, di lavoro, famigliari e non ultimo la gestione di atleti convinti di non avere più bisogno di direttive. Un buon allenatore deve quindi disporre di qualità interpersonali superiori alla media, poiché se si trova in situazioni difficili da gestire, rischia, se non è in grado di automotivarsi, di incorrere nel fenomeno del Burn – out; quando infatti l’allenatore esaurisce le sue energie va incontro ad un crollo psicologico e motivazionale, non riuscendo più a far fronte alle onerose esigenze della sua attività.
Definire quindi il comportamento ideale che deve avere un allenatore non è compito facile, sicuramente sarà importante da parte sua fare sentire tutti gli atleti importanti, senza esasperare la squadra ai fini della vittoria.

LA COMUNICAZIONE

La comunicazione tra un allenatore ed i suoi atleti riguarda un ambito relazionale di prima importanza, è in questo spazio che si colloca la contrattazione tra le due volontà: quella dell’atleta e quella del suo coach. In questo spazio si delinea il profilo di un rapporto che può andare dal totale affidamento alla pregiudiziale sfiducia.
Un allenatore quando comunica con un atleta, deve sempre ricordare che la sua parola, il suo atteggiamento devono influenzare non solo il gesto tecnico, ma tutto il comportamento, dalla fase di preparazione fino a quella agonistica o amatoriale che sia.
Comunicare bene significa insegnare meglio, che determina un maggior apprendimento, e migliorare la relazione, sia a livello individuale sia di gruppo; entrambi gli aspetti favoriscono una migliore prestazione.
Nessun allenatore è istituzionalmente allenato a comunicare bene. La comunicazione è un’abilità e così come le capacità motorie sono allenabili, lo è anche la comunicazione. Così come un giocatore lavora per migliorare la sua tecnica, anche un istruttore può apprendere stili comunicativi più funzionali nella trasmissione di informazioni ai giocatori. Allenando non si finisce mai di apprendere, in quasi tutti i casi il processo di apprendimento non è mai terminato, un allenatore va ad ascoltare un Clinic anche se sa che può apprendere un solo concetto nuovo. Può capitare di assistere a un Clinic o ad una seduta di allenamento di un collega, anche solo per decidere se si è d’accordo con ciò che viene proposto o meno.
Le diverse funzioni a cui deve assolvere un allenatore sono: il professionista (la professionalità riguarda le idee, i programmi, i progetti); l’insegnante (è la persona che aiuta il giocatore a parlare a livello sportivo); l’educatore (deve trasmettere lezioni di sport e di vita ai giocatori per formare la loro personalità); lo psicologo (deve capire i ragazzi e dare loro gli stimoli giusti per ogni situazione); il genitore (deve saper sostenere quando è necessario ed essere severo quando è indispensabile) e l’allenatore (deve saper integrare queste diverse funzioni).
Allenatori non si nasce, si diventa!
Molti si trovano a passare da un ruolo di atleta a quello di istruttore per diversi motivi, dove la voglia e la passione per lo sport magari sono le stesse, ma ciò che cambia è il modo di esprimerli.
Comunicare letteralmente significa far comune ad altri, ciò che è nostro, vuol dire trasmettere dei contenuti, condividere. Prima di comunicare è necessario pensare per sapere cosa si vuol comunicare.
Quindi le regole per giungere ad una comunicazione efficace, sono essenzialmente: il sapere “cosa” si comunica, a “chi” e “come” lo si fa. Questo vuol dire che prima di trasmettere degli insegnamenti di sport, è importante sapere che idea si ha di quello sport che viene preso in considerazione.
Quando un allenatore insegna una nuova tecnica o un nuovo schema non può prescindere dall’idea di gioco che ha, e di conseguenza la sua metodologia di insegnamento, e dalla sua idea di giocatore, ovvero quale tipo di uomo meglio si adatta alla sua filosofia di gioco.
Per una comunicazione efficace è quindi importante conoscere i valori di fondo e le idee che ogni allenatore ha e che tecnicamente si traducono su come funzionano le due identità allenatore-allievo e che determinano il tipo di relazione che si va ad instaurare.
I valori antropologici7 ci possono servire per capire quali sono i nostri valori di riferimento, come funzioniamo con gli altri, come sono fatte le persone con cui interagiamo. È importante che ogni allenatore abbia chiari i valori su cui costruisce la squadra, questa chiarezza gli darà sicuramente più stabilità. Per arrivare ad una comunicazione efficace è importante avere chiari i propri valori, la propria filosofia che permette di fissare e avere ben delineati gli obiettivi da perseguire. È importante, oltre a sapere il compito da svolgere, anche con “chi” si va a svolgerlo e “come”. Il chi richiama il concetto d’identità.
La comunicazione implica una relazione in cui due identità, nel caso specifico un istruttore e un allievo, si incontrano, interagiscono attraverso il linguaggio verbale e il linguaggio non verbale. Queste identità non sono in un rapporto statico ma dinamico, il che significa che si influenzano reciprocamente.
Essere consapevoli di “come” si esprimono i contenuti e le idee attraverso la comunicazione, non è meno importante del conoscere i valori che spingono verso gli obiettivi e del sapere con chi si interagisce. “Non si può non comunicare”, ogni comportamento, infatti, è comunicazione. È un messaggio la parola, il silenzio, il gesto e il contesto. Ogni volta che entriamo in relazione con qualcuno o qualcosa il nostro corpo reagisce (comunica), prestare attenzione alle nostre reazioni emotive e corporee, aiuta ad avere consapevolezza del modo di relazionarsi. Nessuno è perfettamente identico nelle diverse relazioni. Quando si incontra una persona nuova, già dal primo impatto si incomincia a provare qualcosa; è importante che prima di pensare e parlare si impari a sentire e guardare. Nella comunicazione si possono distinguere un aspetto di fondo, valori antropologici, e un aspetto tecnico, composto da comunicazione verbale e non verbale.
Per quanto riguarda il secondo aspetto nella comunicazione verbale è importante ciò che esprimiamo con le parole, quindi i concetti devono essere chiari, precisi e comprensibili; nella comunicazione non verbale è importante ciò che esprime il nostro corpo attraverso gli atteggiamenti, ossia le posture e le reazioni somatiche. C’è una forte correlazione tra comunicazione verbale, che riguarda più il livello razionale e la comunicazione non verbale, che invece è relativa al linguaggio emotivo e corporeo. Quest’ultimo si coglie in modo più immediato ed è spesso il messaggio più forte. Se la comunicazione non verbale non è consapevole, ci può essere un’incongruenza con il linguaggio verbale; si può contraddire il messaggio verbale con atteggiamenti non consoni, il messaggio verbale sarà inefficiente perché arriva in un clima confuso; si avrà in questo caso una distorsione della comunicazione.
Oltre a trasmettere contenuti, informazioni la comunicazione tende a definire la relazione esistente tra gli interlocutori. Il comunicare non è sufficiente, occorre comunicare bene. Vi sono infatti dialoghi inadeguati, caratterizzati da mancanza di ascolto e da tentativi di sopraffare l’altro. La consulenza nel concetto comune sembra essere la forma di dialogo più equa nel rapporto tra atleta ed allenatore. L’assistenza infatti ha già in Sé un carattere squilibrato, che inoltre potrebbe esprimere una certa sottomissione. Nell’intervento è possibile riconoscere un’azione di impronta militare, che guida gli atleti in maniera autoritaria, rischiando però di interrompere il dialogo amichevole. Si rivelano quindi, di grande utilità incontri di gruppo fra atleti con allenatore e coach, fra allenatore e dirigenti, fra atleti di uno stesso team con qualche problema di dialogo fra loro. Sono necessari a volte colloqui con il singolo per richiamare la sua attenzione ad un errore ricorrente.
Questo tipo di intervento viene fatto lontano dagli altri membri del gruppo, per evitare che nel giocatore nasca un senso di vergogna.
Ci sono diversi modi di comunicare, si può distinguere una comunicazione empatica e una congruente. La prima avviene mettendosi nei panni della persona a cui ci si relaziona, considerando il suo stato emotivo e il suo punto di vista, la seconda, quella congruente, consiste nel comunicare quello che si sente e si prova.
L’importanza di percepirsi e percepire persone e non cose, permette all’allenatore di accorgersi che un’informazione o un comportamento tecnico non influenza solo l’area tecnico-motoria del giocatore, ma la sua intera personalità che appare nelle risposte emozionali, cognitive e corporee.
Avere contatto con il proprio se, aiuta l’allenatore ad apprendere come le risposte del giocatore provocano in lui reazioni e come lo influenzano: può essere arrabbiato o contento del comportamento del giocatore; può aver minore o maggiore disponibilità nell’entrare in rapporto, a seconda delle risposte e dei comportamenti dei giocatori (feedback).
La comunicazione consiste nella trasmissione di un determinato messaggio da una sorgente emittente ad un ricevente, pronto a recepirlo e ad elaborarlo.8
Durante la comunicazione è utile accorgersi di cosa sta succedendo nell’interlocutore e in se. Questo aspetto, viene definito comunicazione a doppio feedback: ogni messaggio viene continuamente verificato sulla base della reazione che produce su chi lo invia e sull’interlocutore. In questo tipo di comunicazione a doppio feedback si può distinguere il feedback che arriva dall’interno (intrapsichico), che riguarda la risonanza che il messaggio ha nell’emittente, e il feedback esterno (interpersonale) quando è legato alle reazioni che l’inviante “legge” sul ricevente.
Questo atteggiamento di auto ascolto e di auto percezione facilita la costruzione di una relazione funzionale.
La squadra rispecchia sempre il carattere e il tipo di persona che è l’allenatore. Il giocatore è frutto del modello dell’istruttore allenatore. Il vero insegnamento apprendimento deve essere fatto di idee chiare, spiegazioni semplici, dopo è importante la dimostrazione del gesto, osservare e capire dove ci sono problemi, provare a risolverli; invece di demonizzare gli eventuali errori analizzarli e prima di proporre nuove soluzioni trovarle con i giocatori, questo stimola la curiosità e porta più risultati, e poi ripetere anche all’infinito, fino a quando ce n’è bisogno. La voce dell’insegnante nella conduzione dell’allenamento è una cosa importante, deve avere autorità senza essere autoritaria. L’allenatore deve continuare a stimolare le funzioni cognitive facendo domande, conducendo alla scelta più giusta rispetto alle situazioni specifiche.
La conduzione dell’allenamento migliora se l’allenatore ricorda i tre motivi che portano il ragazzo da lui e che devono essere sempre i suoi tre principi: imparare, divertirsi e giocare. Più sarà in grado di realizzare questi tre principi più sarà il suo successo come insegnante.
Un buon allenatore è colui che ha certi principi educativi, lo stimolo giusto per ogni ragazzo e ogni situazione, una parola, un cenno, ma anche quando occorre, sa alzare la voce. Deve avere la capacità di guardare, vedere e riflettere prima di agire.
Fondamentale anche tra i giocatori la volontà e la capacità di comunicare, che spetterà all’allenatore insegnare a comunicare bene, riflettendo su se stessi, guardando i compagni di squadra. I giocatori di una squadra sono avvantaggiati se nel gruppo è presente una coesione elevata. La coesione è definibile come il grado con il quale i membri del gruppo desiderano rimanere nel gruppo stesso, è un fattore legato alla struttura affettiva del gruppo, al successo.
Questa sembra facilitare la capacità di scambio comunicativo tra i membri che tendono ad essere sintonizzati sia in termini emotivi, sia in termini motivazionali. Un obiettivo dell’allenatore deve essere quindi quello di creare una buona coesione tra i membri del gruppo “squadra”.

TESTI CONSULTATI

Mike Krzyzewski e Philips Donald T., “Le strategie di Coach K. Strategie di successo per il basket, gli affari e la vita”, Edizioni Libreria dello Sport, Milano 2002.

C. Robazza, L. Bortoli, G. Gramaccioni, La preparazione mentale nello sport, Pozzi Editore, Roma 1994.

Una buona rivista

Perché una rivista dedicata alla sociologia e alle politiche sociali alle soglie del nuovo millennio?



1) La rivista Sociologia e politiche sociali si propone di intervenire sui più rilevanti dibattiti nazionali e internazionali in maniera innovativa e con un approccio peculiare. L’idea di base è quella di non separare la teoria sociologica "pura", dalla teoria e dagli interventi propri delle politiche sociali. Lo spazio che essa intende occupare è quello che comprende il dialogo tra scienze sociali a base empirica e scienze sociali a base normativa. Sociologia e politiche sociali si propone come un luogo in cui la sociologia apre un nuovo discorso scientifico e pratico mettendo in interazione la spiegazione empirica e la comprensione teorica dei problemi che attendono la società del futuro. Intende presentare ricerche, studi e riflessioni che consentano di generare una conoscenza sociologica non slegata dai problemi sociali e delle grandi public issues che esigono risposte di politica sociale.

2) Il progetto nasce dalla convinzione che, con il passaggio al XXI° secolo, si andranno evidenziando forti discontinuità fra l’era moderna e quella dopo-moderna. Con i processi di globalizzazione e di tecnologizzazione della società, con i nuovi processi migratori su scala mondiale, si impongono dei radicali ripensamenti sia dei grandi approcci sociologici che studiano la società sia dei grandi paradigmi di politica sociale che progettano interventi su di essa. Sociologia e politiche sociali vuole essere testimone e partecipe di questa rivoluzione, che tutti ci auguriamo possa essere compresa e guidata in direzione di assetti più umani.

3) I temi che Sociologia e politiche sociali intende affrontare sono tutti quelli che caratterizzano la svolta epocale dalla società industriale, stratificata e nazionale, a quella post-industriale, complessa, globalizzata. Verranno toccati i temi della teoria sociologica generale, del welfare, dell’organizzazione della società finalizzata al benessere, i temi dello Stato sociale, del privato sociale, della famiglia, del ciclo di vita degli individui e delle generazioni, dei vari settori della protezione sociale (previdenza, sanità, assistenza e servizi sociali), del mercato del lavoro, della cittadinanza, delle migrazioni, dell'articolazione dei servizi e delle politiche sociali a tutti i livelli, micro, meso e macro, per riferimento al contesto nazionale, a quello europeo e a quello mondiale.

4) La struttura della rivista comprenderà una parte monografica, con alcuni saggi, una parte di documenti e di riflessioni su di essi, una sezione di dibattiti e di orizzonti di ricerca, e degli itinerari di lettura, con recensioni e segnalazioni.

5) Sociologia e politiche sociali si indirizza primariamente a ricercatori, studiosi e operatori sociali, intendendo quest’ultimo termine nel senso più esteso, dai sociologi universitari a quelli professionali agli assistenti sociali, ai dirigenti di organizzazioni di privato sociale e a tutti coloro che operano in questi campi, inclusi i policy makers. Ma, in senso più ampio, essa si rivolge al pubblico di tutti coloro che sentono il bisogno non solo di aggiornarsi, ma anche di poter disporre di una nuova riflessione nel campo delle scienze sociali.



lunedì 1 febbraio 2010

Moscovici

Prima, viene l’uomo. In parte perché la materia di cui il professor Serge Moscovici si occupa - la psicologia sociale - non è propriamente acqua fresca. Ma soprattutto in quanto basta una scorsa alla sterminata vicenda umana e professionale di questo gagliardo ottantacinquenne, uno dei quattro vincitori della 35ª edizione del Premio Nonino, per capire tanto di lui e del suo lavoro. Tanto, senza la presunzione del tutto. Certo, l’homme, d’abord. È infatti negli occhi di un Grande Europeo come lui, ridenti pur dopo aver tanto visto - anche tanto di brutto - che si può leggere la biografia di un intero Continente.

Nato in Romania e perseguitato in quanto ebreo prima dal regime filo-hitleriano di Ion Antonescu e poi, per lo stesso motivo, da quell’Armata Rossa che si era illuso fosse arrivata a liberare il suo Paese, Moscovici era fuggito nel ’48, arrivando a Parigi con un solo franco in tasca. Studente di psicologia alla Sorbona per «nutrirsi» e impiegato in un’industria per mangiare, si sarebbe però scoperto culturalmente apolide anche lì. «Per noi, gente di sinistra, ma che aveva abbandonato il comunismo, in quei primi anni è stato come vivere tra l’incudine e il martello». Malvisti da un lato dagli esuli romeni più estremisti, che li sospettavano di essere «talpe comuniste al soldo di Mosca», e dall’altro dalla gauche accademica francese, che li vedeva «come fascisti».

Professore, sembra che lei abbia vissuto ben più di una sola vita, ma almeno tre o quattro. Pensa che ciò sia stato fondamentale per forgiare tanto l’uomo quanto lo studioso?
«Certo, perché la vita è la somma delle nostre esperienze, che a loro volta vengono contraddette da altre esperienze. Di altri. Ed è proprio così che la nostra esperienza diventa un movimento sociale».

Mi permetta di banalizzare i termini. Lei è di fatto lo psicologo della società, la quale non può rispondere come un individuo alle sue domande. È lei che deve intuirne risposte. O sbaglio?
«È vero, per fare il mio lavoro non ho bisogno del divanetto dello psicologo. Quello che devo fare è leggere tanto, i più disparati documenti che mi parlano di dove sta andando la società. Poi, io ho almeno tre fonti principali a cui attingere per trovare le risposte che cerco».

Ovvero, professore?
«La prima è l’insieme di ciò di cui parlavamo in precedenza: dell’esperienza personale, dell’osservazione della vita, di quello che hai raccolto. A questo aggiungo la capacità di guardare, in modo da avere una discussione intellettuale proficua con gente che ha avuto altre esperienze. Infine, terza risorsa, ci metto il confronto continuo con artisti, scienziati delle discipline politico-sociali, economisti, pensatori in generale. Di oggi, come del passato. Perché devi leggere e rileggere per esempio William Shakespeare, uomo di ieri, per trovare risposte valide alle tue domande attuali».

Lei è noto per la sua teoria delle Rappresentazioni sociali, o teorie del senso comune, usate per esprimere le conoscenze all’interno di una società o dei gruppi che la compongono...
«Se mi consente la correggo: non vengono usate, perché non sono un metodo. Vengono invece create. E possono riguardare la religione, la morale, la legge, la scienza... tutto».

Non ha avuto timore, da intellettuale, a usare un’espressione come «senso comune», con cui di solito definiamo qualcosa di basso livello?
«No, perché così sbagliamo. Abbiamo infatti dimenticato il valore di quell’espressione. Abbiamo dimenticato che nel XVIII secolo il common sense fu il punto di partenza della maggior parte delle teorie scientifiche e filosofiche. Poi, da Galileo in poi, iniziò la matematicizzazione della conoscenza, che ha negato il valore del senso comune e insieme ad esso della nostra memoria e dell’immaginazione. Ma ci sono stati grandi pensatori, come il vostro Giambattista Vico, che ne hanno invece teorizzato l’universalità».

Lei dice inoltre che le Rappresentazioni sociali «danno corpo alle idee», collegando il sapere e le conoscenze alla vita concreta. Mi fa degli esempi? Appunto, concreti?
«Le rispondo facendole piuttosto dei nomi di uomini che hanno dato corpo alle idee. Pensi per esempio come e quanto dei pensatori come Charles Darwin o Karl Marx, al di là della condivisione delle loro idee, siano diventati importanti, imprescindibili per chiunque. E a loro, aggiungerei Albert Einstein e Gandhi».

Perché il Mahatma?
«Perché ha dimostrato, direi meglio ci ha insegnato, che un grande cambiamento sociale è possibile anche senza ricorso alla violenza. In questo modo lui ha dato vita a quella che ancor oggi è la più grande democrazia del mondo. E questo è quanto è successo anche in Europa, più di recente, alla caduta dell’ex blocco sovietico. Una rivoluzione di velluto, senza morti, ma che ha cambiato volto al mondo».

Visto che parliamo di mondo, quali pensa siano le maggiori differenze tra le due più grandi società evolute, l’europea e l’americana?
«Domanda difficile, molto difficile. Direi comunque che la società europea è stata plasmata e influenzata fortemente dalla presenza delle chiese e delle religioni, mentre quella americana è stata plasmata da...».

Forse dai soldi, professore?
«No, no (ride, ndr) quelli sono stati e sono importanti dovunque, anche in Italia. Direi piuttosto che ciò che ha influenzato e permeato di più la società americana è il concetto di rischio. Oltre al fatto di essere sempre stata, fin dall’inizio, il melting pot di razze che conosciamo».

Non corre il rischio di diventarlo anche l’Europa di oggi, con le grandi migrazioni in atto dal Terzo Mondo?
«No, noi non lo saremo mai un melting pot. Perché a differenza di quanto accadde all’epoca in America, la gente che giunge oggi in Europa arriva in nazioni, le nostre, già formate come tali. Per questo credo nel prossimo futuro ci sarà meno tensione di quanta noi oggi possiamo pensare o temere. Per almeno due motivi. Il primo sono i bambini dei nuovi arrivati, bene prezioso soprattutto in Paesi pur cattolicissimi come Spagna e Italia, che invece hanno smesso di farli nascere. E il secondo motivo sta nel nostro sistema democratico, diffuso ormai in tutta Europa e diventato sistema condiviso, ricercato e inseguito anche altrove. Un sistema in cui la gente crede, ha fede. Per questo penso che nessun autoritarismo portato dall’esterno potrà mai più attecchire nel nostro Continente».

E il problema religioso?
«Mi scusi, ma questo approccio di avere un problema e di volergli trovare di conseguenza una soluzione, è qualcosa che va bene in un laboratorio, non in una società, non con le vite degli uomini. Per fortuna, nel processo sociale le cose cambiano da sole e noi non ci rendiamo nemmeno conto di quando cambiano. E le dirò, io sono ottimista».

Fonte: http://www.ilgiornale.it/